Con piacere, pubblico il testo integrale di un articolo sul tema pubblicato il 4 aprile del 2009 sul settimanale "La Vita Cattolica", a firma di Erika Adami che ringrazio per avere concesso al nostro blog Eventi Vintage i diritti alla pubblicazione.
Erika Adami è una giornalista molto sensibile alle tematiche del Vintage, del riciclo e riuso; é responsabile e coordinatrice editoriale de La Vita Cattolica, nonché Autrice della rivista mensile per bambini in lingua friulana “Alc&cè”.
BOOM DEI MERCATINI DELL’USATO ANCHE IN FRIULI-VENEZIA GIULIA. TRA LE BANCARELLE CACCIA ALL’AFFARE, MA NON SOLO
di Erika Adami
Creativi negli acquisti
Nell’Italia dei consumi al contagocce, il mercatino piace. E molto.
Pascoli: «Ci si va per ritrovare una modalità di consumo non standardizzata»
«Il proliferare dei mercatini,
sempre più numerosi
anche in regione,
è il segnale del loro successo»
«Non si cerca soltanto l’affare, ma anche
l’oggetto particolare, che non si trova,
che ha un’estetica diversa da quella proposta
dalla distribuzione commerciale»
Eclettico e curioso. Non un nostalgico del passato, ma un creativo degli acquisti. È il ritratto del frequentatore dei mercatini delle pulci, tracciato da Monica Pascoli, docente a contratto di Sociologia dei consumi al corso di laurea in Relazioni pubbliche di impresa nella facoltà di Lingue dell’Università di Udine.
Nell’Italia dei consumi al contagocce, dei conti in tasca alla fine di ogni giornata, il mercatino piace. E molto. Vi si trovano pezzi unici, arredi, ceramiche, stampe da collezione, giocattoli, strumenti ottici, radio, gioielli e preziosi, libri, monete, vecchie riviste, biancheria, oggetti di arte sacra...
«Il proliferare di queste iniziative, sempre più numerose anche in Friuli-Venezia Giulia, è il segnale del loro successo», spiega Pascoli. Da leggere, però, non soltanto come una riscoperta del banco all’aperto, della passeggiata in un contesto gradevole (quasi tutti i mercatini si fanno nei centri storici), della chiacchiera tra le bancarelle, del rapporto diretto e un po’ ruspante con il venditore.
Adami: Pascoli, perché si va ai mercatini?
«Va fatta una differenziazione tra il consumatore che si reca ai mercatini solo per fare l’affare e chi ci va per curiosità, voglia di ritrovare una modalità di consumo che non è standardizzata».
Cioè?
«Non si cerca soltanto l’affare, ma anche l’oggetto particolare, che non si trova, che ha un’estetica diversa da quella proposta dalla distribuzione commerciale. La teoria generale sui consumi dicotomizza tra chi vede il consumatore muoversi all’interno di cornici estremamente rigide, entro le quali è molto forte il ruolo della distribuzione, che si determina anche nella "imposizione" delle merci da consumare, belle, pronte sugli scaffali, soltanto da prendere, e chi vede il consumatore come colui che dà attivamente significato alle merci che acquista, in questo senso anche produttore. Nel mercatino dell’usato è quest’ultimo l’aspetto che emerge in maniera più macroscopica».
Chi va al mercatino rifiuta un consumo di massa?
«I due tipi di consumo coesistono. Il consumatore di oggi è eclettico, si dedica a un consumo che può essere quello standardizzato, quello delle catene H&M, Zara, Ikea..., ma al contempo ha voglia di differenziarsi».
Il successo dei mercatini è legato alla situazione economica attuale? (Continua da Read more)
|«In un certo senso. L’interesse per i sapori autentici, della tradizione, per le cose vecchie... è sempre esistito. Oggi si è rinnovato. La riscoperta avviene nei momenti di crisi. Si guarda al passato alla ricerca di sicurezze. L’interesse rinasce nel momento in cui ci si sente persi, non tanto dal punto di vista economico, quanto simbolico, nel senso che la merce che ci viene offerta sul mercato, eccedente rispetto alla nostra capacità di assimilarla, può creare spaesamento. Ecco allora la volontà di riaffermare la propria identità. Si fanno acquisti di massa, standardizzati, ma sono ridefiniti attraverso l’identità. Coesistono due impulsi: il desiderio di imitazione per sentirsi parte di un gruppo e il desiderio di differenziazione. È il caso della ragazzina che compra il vestitino della H&M e poi lo fa proprio, usando accessori che lo differenziano. Con lo stesso impulso, si compra un oggetto vecchio, utilizzato, di modernariato, anche di limitato valore economico, e lo si inserisce in un appartamento arredato con mobili standard».
Dunque, non si va al mercatino perché si pensa di risparmiare...
«Ci si va per fare l’affare, è diverso. Questo implica l’acquisizione di un ruolo attivo nella negoziazione. Il mercatino implica anche il mercanteggiamento: non si paga quello che viene richiesto, come succede nei supermercati, dove il rapporto tra venditore e compratore è asettico. Non necessariamente si risparmia. Il risparmio è una questione oggettiva, quello che avviene nei mercatini è soggettivo, nel senso che è frutto di una interazione tra venditore e compratore, c’è un dialogo, e capacità personali che vengono messe alla prova».
Certo che al mercatino dell’usato non si compra sempre...
«... Anzi, la maggior parte delle persone ci va per guardare – gli studiosi parlano di vetrinizzazione –, per stare in mezzo alla gente, all’aria aperta. Il contatto con la merce è diverso da quello tradizionale, tant’è che al di là dei mercatini dell’usato, anche quelli di frutta e verdura, come quello in piazza San Giacomo o di viale Vat a Udine, continuano ad essere affollati. La costruzione dei centri commerciali non esclude l’esistenza e la ricchezza dei mercatini all’aperto».
Nella ricerca dell’«oggetto particolare», quanto conta il fatto che sia vecchio?
«Molto, ma non si tratta di nostalgia del passato, bensì di consumo creativo. Si comprano cose vecchie, perché hanno ricordi, una storia e questa viene riattualizzata, non dobbiamo dargliela noi. Un po’ come è successo nel campo dell’alimentazione, con il ritorno ai sapori antichi, ai prodotti tradizionali, ma portati nella contemporaneità».
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